29 Dicembre 08, Longview.
Off-school day. Non che importi, no, non alla pallacanestro.
Allenamento alle 8 del mattino. Come ormai è consuetudine, mi dirigo al "colosseo" una mezz'oretta prima, giusto il tempo di andare da coach scotter (trainer ndr.) e aggiustare quelle due o tre cosette che sul fisico di un magro 5'10 bianco non sono mai apposto, figuriamoci quando insieme a lui gioca solo (quasi ed esclusivamente) gente dal colorito piuttosto scuro.
Allenamento che tuttavia scorre abbastanza, con tutto ciò che il primo allenamento al ritorno dalle vacanze di Natale può comportare.
Niente paura, la parte interessante deve ancora arrivare.
Ore 12. Secondo programma l'italo-americano (Mr. Filippazzo), l'italiano (io) e il tedesco (Andy, già trattato da qualche parte) si mettono in cammino per Waco, sede della Baylor University, università privata da 80 mila verdoni l'anno; come tirar giù un bicchier d'acqua insomma. Le tre ore di autostrada verso la destinazione sono, come sempre se ti trovi in Texas, 2 ore 50 nel bel mezzo del niente e 10 minuti con (forse) una città sullo sfondo (in questo caso Dallas), che tuttavia non consola neanche più tanto. Ad animare la giornata ci sono però i tre guasconi nella Volvo blu che durante queste tre ore svagano tra i più vari degli argomenti: dall'NBA (falsa e corrotta) al College Basketball (lento e con un timeout ogni 3 minuti), alla sanità americana (inaccettabile per motivi che tutti noi conosciamo), all'economia americana (in parabola leggermente discendente). E, quando i tre arrivano a destinazione, viste la precedenti ed animate discussioni, l'italiano e il tedesco si pongono la seguente domanda: "Ma noi in America, che ci siam venuti a fare?". Risposte che tuttavia con il tempo arriveranno, tranquilli.
Ah già, poi alle 7 c'è la partita di College Basketball: Portland State@Baylor U.. E già questa sarebbe una risposta, ma c'è di meglio. Sì perché dopo le foto con l'insegna "Baylor University" e la sosta delle 4 a Starbucks ci dirigiamo al Farrell Center, arena da 10000 posti e un annesso centro sportivo tutto da svelare. Se poi l'amico di high school dell'italo-americano si chiama David Wesley (attuale student-coach a Baylor con 14 anni di NBA alle spalle) allora, questo centro sportivo, sotto raccomandazione, te lo lasciano anche vedere. Giro di chiamate e siamo dentro, con un tizio, coach Perkins che fa da Virgilio in una struttura nuova di 2 anni in cui sono stati investiti (o spesi?) 11 milioni di presidenti andati (cit.). 11 milioni che a guardarsi intorno ci si chiede: "Solo 11?".
Coach Perkins, originario di St. Louis, Missouri, appena presentatosi ci racconta che la prima volta che arrivò a Waco, dichiarata la sua origine, tutti lo guardarono con aria allibita come dire: "St. Louis? Abbiamo un St. Louis in Texas??" al che Coach P. aggiunse subito: "Missouri", ricordando a tutti i Texani che la loro nazione consta di ben altri 49 stati oltre al loro. Ma certi individui da queste parti ancora stentano ad essere a conoscenza-barra-accettare tale situazione geopolitica (ma questa è un'altra storia). Dopo il piccolo aneddoto, che in realtà dice molto del Texas e dei texani, passiamo all'ispezione della struttura. Si entra da una porta di servizio accolti, come detto, da Mr. Perkins che ci mostra mentre passiamo dalla hall i vari uffici. Sulle scrivanie di tali giace sistematicamente un notebook e/o un desktop con una mela smangiucchiata sul retro, quelli che quando li vai a comprare sulla scatola, il caro vecchio Steve scrive: "Designed by Apple in California", tanto per non sbagliarsi e non farsi fraintendere. Chiediamo, incuriositi, se sia un caso che su ogni scrivania ce ne sia uno o se la cosa sia voluta. Con molta accuratezza ci viene spiegato che il programma di basketball è stato completamente rinnovato (11 milioni non è che sian pochini eh) dopo le sanzioni che furono assegnate al programma di Basketball della Baylor University dall'Ncaa in seguito allo scandalo del 2003, tra i cui avvenimenti si riscontrarono: l'omicidio di un giocatore da parte di un compagno di squadra (!), l'occultamento da parte del coaching staff di analisi mediche che mostravano l'uso di sostanze proibite di uno dei giocatori, il pagamento delle rette universitarie da parte dello stesso coaching staff e altre scorrettezze minori. Insomma, la credibilità del programma di Basketball e dell'università tutta era andato a farsi benedire e una rifondazione dopo la chiusura dello stesso programma per 2 anni, era il minimo che si potesse fare per non cadere in un declino dal quale difficilmente ci si sarebbe rialzati.
Dicevamo, come ci si gira intorno si vedono gioiellini frutto della mente di Steve Jobs, il quale, a quanto ci viene detto, fornisce anche (sotto pagamento dell'università) ad ogni singolo giocatore uno dei suoi MacBook Pro, altri 2000 presidenti a testa, e che sarà mai. Continua il tour ed entriamo, attraverso una porta con accesso tramite impronta della mano (non di un dito eh, dell'intera mano!), all'ala al pian terreno, dove tra le altre cose si trovano: un campo di allenamento, una sala pesi, gli spogliatoi e l'ala del basket femminile, non visitata per limiti di tempo. Sì perché tra l'altro alle 7 ci sarebbe anche una partita da vedere. Ah, e ovviamente dalla prima fila. Partita che non desta molte emozioni se non per due affondate di fila del numero 23 in maglia bianca (divisa di casa dei Baylor Bears) a nome Kevin Rogers, di cui una a difesa schierata in alley-oop sulla linea di fondo da assist di Curtis Jerrels (questo nome su qualche parquet lo rivedrete, statene certi), bimane violenta e pubblico in delirio. L'altra nell'azione seguente in contropiede, su un'alzata troppo pretenziosa per la maggior parte degli esseri umani, ma non per Kevin, che si alza, raccoglie la palla almeno mezzo metro dietro la sua testa, e schiaccia mentre con gli occhi guarda il fondo della retina. A vederla dal livello del parquet poi, fa ancora più impressione. Pubblico in piedi e volume quasi insostenibile nonostante sia il 29 Dicembre e l'intero corpo studentesco sia a far visita ai parenti.
A fine partita Coach Perkins ci fa un ultimo regalo, portandoci all'interno degli spogliatoi, dove ogni giocatore ha il proprio armadietto di legno all'interno del quale, a richiesta, può far pervenire una tra Playstation 3, Xbox 360 o Wii, con ovviamente annesso schermo lcd da una ventina di pollici. Nell' angolo libero troneggia poi un lcd Samsung 60'' con annessa Wii, per i "giochi di società". Non è finita perché nel bagno (sì NEL BAGNO) davanti alla toilette e nel corridoio per le docce ci sono altre due flat TV, per non perdersi proprio un attimo degli show preferiti. Annesse agli spogliatoi si trovano altre due stanze: una con tutte le foto dei giocatori passati da Baylor e poi per l'NBA, nell'altra (altri) 4 lcd connessi a varie consolles, che stanno di fronte a 4 poltrone-massaggio da 80mila verdoni. Cadauna. Come dice Coach P., questo è tutto, e come diciamo noi appena usciti dall'arena – meno male perché i comuni mortali hanno anche altre cose da fare.
Già, perché alla più anonima delle Roadhouse sull'autostrada ad aspettare l'italiano, il tedesco e l'italo-americano c'è Mr. David Wesley, arrivato da Houston in incognito (per evitare l'impegno con BU, vista la partenza il giorno successivo per Charlotte) per un saluto e niente più. 30 minuti a mangiare texano da portarsi nei ricordi, e non per le cibarie seppur accettabili. L'aneddoto della serata arriva proprio dal nostro veterano (originario di Longview, già) e riguarda la religiosità, molta, presente a BU. Infatti da buoni cristiani prima e dopo ogni allenamento tutti in cerchio si dice la preghiera al Padre Nostro, e fino a qui niente di strano. Se non fosse che appena finita la preghiera, il giocatore di turno schiaccia il tasto dell'ipod collegato agli altoparlanti e, a volume insostenibile il rapper di turno risuona nella palestra: "Hey you Motherf***er…". E David, nonostante non sia proprio devotissimo al Signore, da buon maestro non può che appuntare: "Ma insomma ragazzi, non abbiamo ancora finito la preghiera!".
Purtroppo però a questo punto sono già le 11pm e 3 ore di Interstate 20 ci separano da casa. Saluti e via in macchina tra le risate. Le nostre risposte, faccio presente al tedesco, anche oggi, le abbiam trovate. Mi guarda fa cenno di sì con la testa: "Sì le abbiam trovate.".