giugno 25, 2009

A volte ritornano...altre volte no.

10 mesi fa lasciavo l'Italia con tante speranze e poche sicurezze.

10 mesi fa lasciavo l'Italia con un vuoto dentro che doveva essere colmato.

10 mesi avevo una sola casa, una sola famiglia

Si ripensa, e non c'è nemmeno bisogno di rileggerlo, a quel primo post che 10 mesi fa aprì questo blog. Le analogie con il corrente post si potrebbero e si dovrebbero trovare. Le analogie con il corrente momento le potete trovare voi, non io. Troppe le differenze per scorgere, anche all'orizzonte, una similitudine. Adesso è tutto andato, tutto finito. Adesso non ci sono più speranze, solo certezze. Tutte le speranze sono andate, che si siano realizzate o meno, è un altro discorso. Tutto ciò che riguarda i passati dieci mesi, è un fatto, una certezza. E se qualcuno vuol trovare in ciò il lato positivo, si faccia avanti, perchè qui le idee scarseggiano. Magari sul "lato positivo" in una settimana settimana ci atterrerò, e questa è l'unica speranza in cui possa rifugiarmi in questo momento.

Ciò che rimane di qua invece sono dieci mesi, di pensieri positivi, di un mondo vicino all'idilliaco, dove tutto è al proprio posto, come Dio (o io?) comanda(/o). Rimane di qua il ricordo di un'esperienza impareggiabile, che non potrà e non vorrà mai essere replicata. Come tutti i sogni, anche questo non ha un inizio preciso, ma ha una fine ben difinita. Una fine che vorrebbe essere felice, ma che per tanti umani motivi non può che essere triste, malinconica, nostalgica. E non prendetela male, è la verità. La verità è che questo non è il summer camp. Questo non ritornerà il prossimo anno. E tale consapevolezza non aiuta.

Aiuta, forse, la consapevolezza di non avere scelta. In certi casi, è veramente meglio non poter usare il proprio giudizio. E in fondo questo è l'unico modo di pensare a tutta questa situazione, che altrimenti non avrebbe uscita. Scusatemi, non avrei mai pensato che sarebbe stato così difficile (nonostante me l'avessero detto prima). Spero soltanto che, come il Texas e la sua gente a suo tempo mi aiutarono perchè potessi sentire questa terra come casa mia, allo stesso modo possa ritrovare una vera casa nella mia vecchia patria.

Alla fine di tutto questo, voglio ringraziare tutti coloro per cui questo blog esiste. Babbo, mamma, Intercultura, chiunque mi abbia dato supporto durante quest'avventura. E poi i miei genitori americani, i professori, gli amici, che erano sempre vicini. Tutte queste persone che, anche se non leggeranno mai questo blog, avranno sempre un posto speciale laggiù, nel profondo di quell'organo che terrà memoria di tuttiu voi, finchè non smetterà di battere.

With love,

Jacopo

aprile 07, 2009

San Fran, San Fran!


A volte ci mettono giorni, mesi ad arrivare
Sabato mattina la commessa al Pack n' Mail di Longview, Texas, mi ha spiegato che un tempo le poste offrivano il servizio trasporto su nave per pacchi destinati oltreoceano. Due anni fa, causa recessione (o vaiassaperetecosa), hanno cessato il servizio, e addio trasporto economico. Se quindi le notizie che state per apprendere vi risultano piuttosto antiquate, non vi lamentate, è colpa di qualcosa che noi, comuni mortali, non possiamo apprendere, tale recessione, finanze, borse (o vaiassaperetecosa).

Dicevamo, più di un mese fa. San Francisco, città dai mille volti. Città in cui trovi la casa di sulla baia di Robin Williams, i grattacieli dei miliardiari downtown, ogni tipo di amenità in Haight Street (dove, la citazione è necessaria, ci sono più "smoke shops" che panai). Ah si e gli hippie, o barboni, chiamateli un po' come volete, ci sono ancora. Senza nulla togliere a ciò ci sono altri scenari forse più degni di mensione. Come ad esempio quando, in una mattinata di sole accecante, uscendo dal Golden Gate Park sbuchi su una vista mozzafiato. Downtown a destra, Fisherman Wharf (il molo in italiano) a dritto, con vista sulla baia. In lontananza il famoso ponte tutto rosso, e Alcatraz.
Piccolo inciso. Ci sono alcuni che dicono che le impressioni non rispondono a verità. Intanto però il primo giorno, camminando attraverso il Golden Gate Bridge, capita che, una signora, credibilmente in profonda disperazione alzi uno di quei telefoni situati lungo il ponte. Queste macchinette compongono automaticamente il numero della "anti-suicidi", che con un caddy, vanno a salvare la povera prima che si getti da ponte. E fino a qui non fa una piega. Salvo che, il disgraziato che sta guidando il caddy (truccato) passa a 30 km orari giù per un marciapiede largo un metro. Da una parte lo strapiombo, dall'altra il traffico che sfreccia sul ponte. Ah già, 'sto disgraziato, per salvare una povera anima, per poco non ne mutila una decina che tranquilla si godeva la baia di San Francisco.
I giorni successivi comprendono ovviamente la gita ad Alcatraz, dove per chi non se lo ricordasse, un caro discendente del suolo italico spese parecchi anni, per varie amenità che in Italia, a quei tempi (e anche oggi), sarebbero state veramente di poco conto.
Menzione speciale va riservata a Berkeley e in special modo all'università. Posto stupendo, crogiuolo di etnie e culture. Mi limito a ciò per non sfatare troppi miti, che le pellicole americane han portato sin da noi.
Il resto è una settimana indimenticabile, in una città che difficilmente non ti colpisce.

Jacopo

aprile 01, 2009

Pesce d'Aprile??

A volte la domanda viene spontanea. Anche al sottoscritto. "Ma in Texas, che c***o c'è?". Posso rispondere in due diversi modi. Nulla, o Tutto.
Ah non è un pesce d'Aprile eh, sia chiaro.
Prima ora, Lunedì e Martedì. Il prof è assente, si guarda un film. Anzi no, un cartone animato: Kung-Fu Panda. Commento dentro di me:"Daiiiiiiiiii! L'ho già visto!". Era l'inizio, 14 Agosto (credo) quando British Airways ti sparava sulla tv del tuo posto a sedere...Kung-Fu Panda. Due p***e. Poi oh, è tutto in inglese, non ci si capisce nulla.
Della serie, a volte ritornano. E ti danno la seconda occasione. Uno dei migliori film che abbia mai visto. Ehò son passati 8 mesi, ho fatto 18 anni, ora son maturo. Forse. Però quel Panda, l'animale più pigro insieme al koala (Kung-Fu Koala suonava male ragazzi dai) diventa un guerriero invincibile, e non perchè lo sia, ma perchè ci crede. Ecco, il Panda, potrebbe essere Nulla, ma invece è Tutto. Sconfigge il cattivo e salva il suo paese popolato da maiali antropomorfi. Il cattivo invece è grande, grosso, e anche s*****o. Tutto via, no Nulla.
Lezione (filosofica) del giorno: Tutto e Nulla sono concetti troppo relativi per essere presi in considerazione. Lezione (pratica) del giorno: puoi essere grande, grosso e s*****o quanto ti pare, ma: 1-in quella zucca ci deve star qualcosa, 2-devi credere in quello che stai facendo. E' così che dalla pratica si passa a quel Tutto e a quel Nulla. E' così che poi io passo a dare una risposta alla iniziale (e anche abbastanza rude) domanda. Perchè 1-credo di avere qualcosa nella zucca e 2-credo in quello che sto facendo. Il resto lo lascio alla libera interpretazione umana.
Se poi qualcuno mi volesse paragonare al Panda faccia pure, fiero di esserlo, sarà la risposta. E sia chiaro, la confusione di questi discorsi viene dalla confusione che si aggira nella suddetta zucca, che, ancora, stenta a stabilire se per il corpo che essa governa, questo sia Tutto o Nulla. Se non altro ora è Tutto, e lo è stato da un po' di tempo a questa parte.
Ripenso a quando si parla con gli amici oltreoceano e dico no, qua credeteci o no, son diverso. Zero preoccupazioni, zero ansie, zero aspettative, zero rotture di c******i. Si sta che è un paradiso. Si sta che è un paradiso quando tutto quello che fai non è dovuto, ma dato. E sia chiaro, funziona in entrambi i sensi di marcia. Nessuno ti dà niente prima di ricevere qualcosa. E sembra così semplice, così stupido. Ma questo è quanto. Questo è Tutto.
Ho appena finito di rispondere a delle domande provenienti dall'Italia, e ho detto che no, non tornerei mai a vivere in Texas. Se quell'email non fosse già partita cambierei quella risposta prima di pubblicare questo post. Pazienza ormai è andata.
Non sarà questa la mia prima frustrazione in terra texana. Già zero frustrazioni, quasi dimenticavo.
Come tutti ben sappiamo però, Adamo nell'Eden durò poco, molto poco. Però ebbe Tutto ciò che voleva.

Jacopo

P.s.:mi scuso per l'enorme quantità di asterischi presenti nel post, servono a mantenere una dignità.


marzo 05, 2009


Rovistando tra gli archivi di internet ho trovato questo. Credevo che, in linea di massima, si attenesse al tema di questo blog, e per questo ho voluto inserirlo (per i non anglofoni, l'articolo scritto, pur sempre in inglese, si trova qui).

febbraio 26, 2009

What’s up??

Febbraio. Anzi, quasi Marzo a dir la verità. E' passato l'All Star Game, è passata la notte degli Oscar. E' passato l'inverno (eh, chi sta in Texas è avvantaggiato).

Son passati sei mesi, ma non mi metterò adesso a fare i bilanci perchè sono annoianti e patetici. Se mai uno ce ne sarà, sarà alla fine, prima che del ritorno in terra natìa. Adesso c'è altro. Adesso c'è che le persone non ti chiedono più di dove sei e, sia chiaro, non perchè tu parli come loro, ma perchè ormai tutti sanno che sei italiano, ancor prima che tu apra bocca. Molti che in quest'ultimo mese mi hanno chiesto "Are you ready to go back?" hanno ricevuto un secco: "Nope!". E l'avevano detto che arrivati a un certo punto (e prendete quello che sta scritto su questo blog molto allegramente) si abbandona, o perlomeno in molte situazioni si tralascia l'interesse per il futuro ritorno nella beneamata Toscana. E sento il dovere di scriverlo, perchè (insegnamento di famiglia) si rispetta molto profondamente "chi te l'aveva detto prima". E sia chiaro, si rispetta anche chi, da qualche parte nel mondo ti aspetta con ansia, perciò non sia tutto travisato e-barra-o frainteso.

Si fa giusto giusto per tenersi aggiornati, perchè in questi ultimi tempi non accadono eventi eclatanti o che, perlomeno, possano (imho) suscitare l'attenzione e l'interesse dell'esclusivo circolo che ha l'onore (o l'onere??) di passare da queste parti, di tanto in tanto.

Ah, e intanto son passate anche un paio di prime volte. Uno: Febbraio 7, primo ballo, vestito da pinguino e via, come nei film. Due: 18 anni a ottomila km da dove chiunque si sarebbe aspettato tu li compiessi. Mettetelo insieme a tutte le cose già elencate in precedenti post per cui "per tutto il resto c'è mastercard". Non che si stato celebrato in grande, anzi niente di che, ma fidatevi, fa un certo effetto. Un po' come vedere quello pseudo-calimero vestito di verde nella gara delle schiacciate saltare e schiacciare sulla testa di Superman che, fortunatamente, non stava volando al momento.

Non molto altro da dire, anche perchè non vogliamo entrare in divagazioni pseudofilosofiche (più pseudo a dire la verità), sulla percezione e il fluire del tempo, che inesorabile porterà sempre, secondo qualche strana convenzione stabilita dall'uomo, a nuovi inizi e nuove fini (e non andiamo a discutere sulla quella Fine che non prevede un altro inizio, sennò andremmo a finire in strane bigotterie religiose, e sopratutto perchè, se Ratzinger passa di qui e ho scritto quello si dovrebbe legger tra le righe mi "fa spenge' tutto". Per chiarimenti c'è la sezione Commenti.), e non so voialtri, ma a me non va di pensare ne all'una ne all'altra.

Mi scusa per l'inutilità e la brevità di questo post, ma questo è quanto riserva Longview, TX, alla mia e alle vostre anime. E sia chiaro, in questa semplicità "qualcuno" potrebbe anche trovarci (averci trovato?) l'idillio dei sensi. Naaaaaaa.


 

Jacopo

gennaio 11, 2009

BU: un giorno nella terra degli Orsi.


29 Dicembre 08, Longview.

Off-school day. Non che importi, no, non alla pallacanestro.

Allenamento alle 8 del mattino. Come ormai è consuetudine, mi dirigo al "colosseo" una mezz'oretta prima, giusto il tempo di andare da coach scotter (trainer ndr.) e aggiustare quelle due o tre cosette che sul fisico di un magro 5'10 bianco non sono mai apposto, figuriamoci quando insieme a lui gioca solo (quasi ed esclusivamente) gente dal colorito piuttosto scuro.

Allenamento che tuttavia scorre abbastanza, con tutto ciò che il primo allenamento al ritorno dalle vacanze di Natale può comportare. 

Niente paura, la parte interessante deve ancora arrivare.

Ore 12. Secondo programma l'italo-americano (Mr. Filippazzo), l'italiano (io) e il tedesco (Andy, già trattato da qualche parte) si mettono in cammino per Waco, sede della Baylor University, università privata da 80 mila verdoni l'anno; come tirar giù un bicchier d'acqua insomma. Le tre ore di autostrada verso la destinazione sono, come sempre se ti trovi in Texas, 2 ore 50 nel bel mezzo del niente e 10 minuti con (forse) una città sullo sfondo (in questo caso Dallas), che tuttavia non consola neanche più tanto. Ad animare la giornata ci sono però i tre guasconi nella Volvo blu che durante queste tre ore svagano tra i più vari degli argomenti: dall'NBA (falsa e corrotta) al College Basketball (lento e con un timeout ogni 3 minuti), alla sanità americana (inaccettabile per motivi che tutti noi conosciamo), all'economia americana (in parabola leggermente discendente). E, quando i tre arrivano a destinazione, viste la precedenti ed animate discussioni, l'italiano e il tedesco si pongono la seguente domanda: "Ma noi in America, che ci siam venuti a fare?". Risposte che tuttavia con il tempo arriveranno, tranquilli.

Ah già, poi alle 7 c'è la partita di College Basketball: Portland State@Baylor U.. E già questa sarebbe una risposta, ma c'è di meglio. Sì perché dopo le foto con l'insegna "Baylor University" e la sosta delle 4 a Starbucks ci dirigiamo al Farrell Center, arena da 10000 posti e un annesso centro sportivo tutto da svelare. Se poi l'amico di high school dell'italo-americano si chiama David Wesley (attuale student-coach a Baylor con 14 anni di NBA alle spalle) allora, questo centro sportivo, sotto raccomandazione, te lo lasciano anche vedere. Giro di chiamate e siamo dentro, con un tizio, coach Perkins che fa da Virgilio in una struttura nuova di 2 anni in cui sono stati investiti (o spesi?) 11 milioni di presidenti andati (cit.). 11 milioni che a guardarsi intorno ci si chiede: "Solo 11?".

Coach Perkins, originario di St. Louis, Missouri, appena presentatosi ci racconta che la prima volta che arrivò a Waco, dichiarata la sua origine, tutti lo guardarono con aria allibita come dire: "St. Louis? Abbiamo un St. Louis in Texas??" al che Coach P. aggiunse subito: "Missouri", ricordando a tutti i Texani che la loro nazione consta di ben altri 49 stati oltre al loro. Ma certi individui da queste parti ancora stentano ad essere a conoscenza-barra-accettare tale situazione geopolitica (ma questa è un'altra storia). Dopo il piccolo aneddoto, che in realtà dice molto del Texas e dei texani, passiamo all'ispezione della struttura. Si entra da una porta di servizio accolti, come detto, da Mr. Perkins che ci mostra mentre passiamo dalla hall i vari uffici. Sulle scrivanie di tali giace sistematicamente un notebook e/o un desktop con una mela smangiucchiata sul retro, quelli che quando li vai a comprare sulla scatola, il caro vecchio Steve scrive: "Designed by Apple in California", tanto per non sbagliarsi e non farsi fraintendere. Chiediamo, incuriositi, se sia un caso che su ogni scrivania ce ne sia uno o se la cosa sia voluta. Con molta accuratezza ci viene spiegato che il programma di basketball è stato completamente rinnovato (11 milioni non è che sian pochini eh) dopo le sanzioni che furono assegnate al programma di Basketball della Baylor University dall'Ncaa in seguito allo scandalo del 2003, tra i cui avvenimenti si riscontrarono: l'omicidio di un giocatore da parte di un compagno di squadra (!), l'occultamento da parte del coaching staff di analisi mediche che mostravano l'uso di sostanze proibite di uno dei giocatori, il pagamento delle rette universitarie da parte dello stesso coaching staff e altre scorrettezze minori. Insomma, la credibilità del programma di Basketball e dell'università tutta era andato a farsi benedire e una rifondazione dopo la chiusura dello stesso programma per 2 anni, era il minimo che si potesse fare per non cadere in un declino dal quale difficilmente ci si sarebbe rialzati.

Dicevamo, come ci si gira intorno si vedono gioiellini frutto della mente di Steve Jobs, il quale, a quanto ci viene detto, fornisce anche (sotto pagamento dell'università) ad ogni singolo giocatore uno dei suoi MacBook Pro, altri 2000 presidenti a testa, e che sarà mai. Continua il tour ed entriamo, attraverso una porta con accesso tramite impronta della mano (non di un dito eh, dell'intera mano!), all'ala al pian terreno, dove tra le altre cose si trovano: un campo di allenamento, una sala pesi, gli spogliatoi e l'ala del basket femminile, non visitata per limiti di tempo. Sì perché tra l'altro alle 7 ci sarebbe anche una partita da vedere. Ah, e ovviamente dalla prima fila. Partita che non desta molte emozioni se non per due affondate di fila del numero 23 in maglia bianca (divisa di casa dei Baylor Bears) a nome Kevin Rogers, di cui una a difesa schierata in alley-oop sulla linea di fondo da assist di Curtis Jerrels (questo nome su qualche parquet lo rivedrete, statene certi), bimane violenta e pubblico in delirio. L'altra nell'azione seguente in contropiede, su un'alzata troppo pretenziosa per la maggior parte degli esseri umani, ma non per Kevin, che si alza, raccoglie la palla almeno mezzo metro dietro la sua testa, e schiaccia mentre con gli occhi guarda il fondo della retina. A vederla dal livello del parquet poi, fa ancora più impressione. Pubblico in piedi e volume quasi insostenibile nonostante sia il 29 Dicembre e l'intero corpo studentesco sia a far visita ai parenti.

A fine partita Coach Perkins ci fa un ultimo regalo, portandoci all'interno degli spogliatoi, dove ogni giocatore ha il proprio armadietto di legno all'interno del quale, a richiesta, può far pervenire una tra Playstation 3, Xbox 360 o Wii, con ovviamente annesso schermo lcd da una ventina di pollici. Nell' angolo libero troneggia poi un lcd Samsung 60'' con annessa Wii, per i "giochi di società". Non è finita perché nel bagno (sì NEL BAGNO) davanti alla toilette e nel corridoio per le docce ci sono altre due flat TV, per non perdersi proprio un attimo degli show preferiti. Annesse agli spogliatoi si trovano altre due stanze: una con tutte le foto dei giocatori passati da Baylor e poi per l'NBA, nell'altra (altri) 4 lcd connessi a varie consolles, che stanno di fronte a 4 poltrone-massaggio da 80mila verdoni. Cadauna. Come dice Coach P., questo è tutto, e come diciamo noi appena usciti dall'arena – meno male perché i comuni mortali hanno anche altre cose da fare.

Già, perché alla più anonima delle Roadhouse sull'autostrada ad aspettare l'italiano, il tedesco e l'italo-americano c'è Mr. David Wesley, arrivato da Houston in incognito (per evitare l'impegno con BU, vista la partenza il giorno successivo per Charlotte) per un saluto e niente più. 30 minuti a mangiare texano da portarsi nei ricordi, e non per le cibarie seppur accettabili. L'aneddoto della serata arriva proprio dal nostro veterano (originario di Longview, già) e riguarda la religiosità, molta, presente a BU. Infatti da buoni cristiani prima e dopo ogni allenamento tutti in cerchio si dice la preghiera al Padre Nostro, e fino a qui niente di strano. Se non fosse che appena finita la preghiera, il giocatore di turno schiaccia il tasto dell'ipod collegato agli altoparlanti e, a volume insostenibile il rapper di turno risuona nella palestra: "Hey you Motherf***er…". E David, nonostante non sia proprio devotissimo al Signore, da buon maestro non può che appuntare: "Ma insomma ragazzi, non abbiamo ancora finito la preghiera!".

Purtroppo però a questo punto sono già le 11pm e 3 ore di Interstate 20 ci separano da casa. Saluti e via in macchina tra le risate. Le nostre risposte, faccio presente al tedesco, anche oggi, le abbiam trovate. Mi guarda fa cenno di sì con la testa: "Sì le abbiam trovate.".